|
Evita, il mito che vive nel cuore dell'Argentina
Forse visse in anticipo sui tempi. O forse morì troppo giovane (33 anni), e ciò rafforzò il mito (come fu per James Dean e Marilyn Monroe, Janis Joplin, Elvis Presley, Jimi Hendrix, Malcom X, gli stessi Kennedy).
Ma anche la transumanza dei poveri resti ha contributo a farne un'icona del secondo Novecento. Che a distanza di mezzo secolo è viva e ricca di contaminazioni, fascino, mistero: tant'è che ogni anno milioni di turisti cercano la sua tomba alla "Recoleta" di Buenos Ayres.
Maria Eva Duarte, detta Evita, moglie di Juan Domingo Peròn, il presidentissimo eletto due volte col Partito giustizialista (1946 e 1951) è ormai nella Storia, e nel cuore del popolo argentino.
Che rilegge le sue "visioni" scagliate nel futuro. Eccone una: "Entro il Duemila oligarchia e povertà saranno sconfitte". Detto 50 anni fa fa impressione, non per l'aderenza alla realtà (la forza dell'oligarchia è cresciuta con la globalizzazione e di contro la povertà si è estesa trascinando nei gorghi fasce sociali ieri tranquille), quanto per l'uso della "profezia" trasfigurata nel marketing come strumento di propaganda politica.
Niente a che vedere con le starlette di oggi: la leziosa Carla Bruni, la volgare Daniela Santanchè, la gelida Hillary Clinton e tutte le donne a una dimensione che affollano l'agone politico planetario. E non va confusa (è la tesi di Diane Ducret nel recente "Femmes de dictateur") con altre celebri donne accanto a uomini di potere: l'amante del Duce Claretta Petacci e i furori uterini, l'algido oggetto sessuale di Hitler Eva Braun, la rozza consorte di Ceausescu dai cessi di oro massiccio e il collo di pelliccia alla fine della parabola.
Piccola, grande Evita! Sfaccettata, multiforme, non facilmente codificabile (come anche il marito e il suo governo).
Sintonizzata con l'animo profondo di un popolo, e la sua avanguardia: i descamisados. Sino a divenire un "padre" della patria dell'Argentina moderna. Un episodio segna la sua povera infanzia: il prete le rifiuta la prima comunione: non ha l'abitino bianco. Spiega in chiave psicanalitica molte prese di posizione a fianco di Peròn, rabbie pubbliche e furori privati nel segno di un "cristianesimo istintivo, selvaggio, ribelle", tormentato, come conferma l'intervista a "Le Monde". Non è ancora emerso dalle carte del marito, ma probabilmente molte mosse politiche sono state ispirate da questa donna minuta quanto forte e decisa, attenta all'immagine, abile nella comunicazione, capace di esprimere concetti difficili con espressioni semplici. D'altronde, a provarlo oggettivamente c'è la "catabasi" del Presidente quando restò solo nella Casa Rosada: era morto anche lui in quel luglio piovoso del 1952, e la rivoluzione che aveva cambiato il Paese sarebbe finita nelle secche.
E' la tecnica usata dallo scrittore: quella delle pennellate espressioniste su una tavolozza all'apparenza priva di organicità (Franco Cardini, che cura la sapida introduzione, ne resta sconcertato) e che invece proprio in questa evidente irrazionalità trova la password per decodificare un personaggio complesso, barocco: firmando un romanzo corale e dove, come nelle tragedie greche, fa parlare la protagonista e chi la conobbe nella sua quotidianità: i più attendibili perché la colgono fuori dal protocollo, dall'ufficialità, che comunque la ragazza riscrive di continuo con un'esuberanza che travolge anche Peròn.
Ma chi fu davvero Eva? Santa e Madonna per gli apologeti, attricetta e comunista per i denigratori. Posse ci dà l'immagine di una statista che era stata ricevuta da Pio XII e dal Generale Franco (che se ne pentì), capace di mediazione fra le "anime" del partito giustizialista e dell'Esercito, in un'Argentina che poi sarà eterodiretta dalle potenze straniere (Usa e Gran Bretagna in pole position nel sostenere numerose azioni golpiste). La povertà l'aveva unita a Peròn, che non aveva mai "dimenticato la sua infanzia povera e selvaggia, nelle aspre serre del sud argentino dove il vento non si placa mai".
E infine ci porta nella stanza dove lei lotta sfatta dal male: ci fa vedere le bombole dell'ossigeno ("poi arriva il prete"), i cosmetici e i medicinali che tentavano di placare il dolore. Ma anche la consapevolezza che il tempo le stava sfuggendo come sabbia dalle dita e occorreva dare messaggi forti all'Argentina del futuro. Lo fece nell'ultima apparizione, il primo maggio 1952: sostenuta dal marito "lancia un appello contro i pericoli che minacciano il peronismo e ricorda che lei, viva o morta, sarà sempre a fianco della sua gente". Il 26 luglio, alle 8 e 26 chiamò Sara Gatti, la manicure: "Mi togli questo rosso insignificante e mi metti il Queen of Diamond trasparente, quello della Revlon…". Scrisse Jhon Barnes: "L'intera nazione pareva impazzita dal lutto...". Evita era entrata nella Storia.
|