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ROMA - Un’inquietudine intensa, energica, decisa, vigorosa, magica: carica di bianchi e neri pronti a “fermare” il movimento del tempo e il senso del fluire delle cose, cercando in quell’attimo l’equilibrio dell’immagine per ricrearlo.
Se è vero che “ci sono fotografi che guardano il mondo per farne fotografie e quelli che fanno fotografie con l’esigenza di raccontare il mondo” , il pugliese Giuseppe Resci appartiene decisamente a quest’ultima categoria.
I suoi paesaggi sanno ben raccontare un mondo denso di antichi anfratti attraversati dall’intensa luce del Sud, una luce che a volte corrode pietre e piante increspando tormentosi nuvoloni bianchi.
Il colore non esiste nelle immagini dell’artista, ma s’intuisce. I blu, i rossi, i verdi, gli ocra, si leggono nelle pieghe infinite dei grigi fino al bianco più bianco e al nero più nero, interpretando con risoluta capacità creativa singoli elementi della composizione.
Mario Giacomelli - grande firma della fotografia italiana – sosteneva che “prima di ogni scatto c’è uno scambio silenzioso tra oggetto e anima”. Questo significa in fondo che lavorando in questi ambiti si ha la possibilità di “sentire” la realtà intorno e poi la facoltà di interpretarla ridando all’osservatore una propria verità della vita.
Giuseppe Resci ha la consapevolezza di tutto ciò, ma soprattutto la sensibilità della scelta, del momento fatidico, in cui quella realtà fatta di ritratti intensi, di corpi sensuali, di nature ataviche e incontaminate incontrano una luce che sa dare valore ad ogni dettaglio e sfumatura.
Giuseppe Resci è nato nel 1959 a Gagliano del Capo (Salento meridionale). Studi classici, poi laurea in Medicina (a Roma). Comincia a fotografare nel 1978, da autodidatta e, in seguito, studia Fotografia e si perfeziona alla Scuola Romana di Fotografia nel quartiere San Lorenzo, sempre nella Capitale. Nelle sue opere rappresenta atmosfere dense e mondi onirici sospesi sul reale ordinario. L'essere umano, relativamente poco rappresentato, è spesso sostituito da una galleria di simboli (riflessi, ombre, manichini) vettori di messaggi articolati e complessi che conducono l'osservatore ad approdare a dimensioni percettive che abitano nei luoghi ancestrali dell'immaginario e dell'inconscio, site a profondità tali da non poter essere raggiunte senza provare emozione, inquietudine, piacere o anche stupore e arrivare così a porsi interrogativi su se stessi.
Resci sostiene che l'Arte, nel figurare in prima istanza ciò che prima non era visibile, si deve dirigere verso il pubblico, mai il contrario. Per questo preferisce esporre in luoghi non convenzionali, modulando di volta in volta la selezione e spesso il concepimento delle proprie opere in funzione del sito espositivo, affinché possano fondersi in un unicum che diviene un vibrante strumento di comunicazione e condivisione artistica.
Fotografa in bianco e nero su pellicola e su dorsi digitali. Effettua ricerca fotografica in Italia e all'estero a si dedica alla post-produzione e alla stampa Fine-Art. Vive alle porte di Roma, in aperta campagna, in una dimora isolata, posta di fronte all’enigmatica maestosità del Monte Soratte. Per il 2013 (tra fine estate e inizio autunno) proporrà le sue inquietudini in bianco e nero con un’esposizione fotografica nel contesto di “Pechino - 2013 - Beijing A. C. Art Museum Dongzhimenwai St.”, allestimento permanente, e successivamente un reportage e una ricerca su Pechino e la Mongolia.
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